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14 settembre 2025 - UNO SGUARDO CHE SERVE

2025-09-13 10:50

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14 settembre 2025 - UNO SGUARDO CHE SERVE

Accostare il racconto di Numeri (21,4b-9), proposto in questa festa (Esaltazione della Santa Croce), in cui si dice della mormorazione verso la cura di Dio, ritenuta dal popolo troppo blanda (la manna aveva nauseato e il popolo rimpiangeva l’Egitto e la sua varietà di alimenti -interessante costatazione!), forse non sollecita abbastanza il nostro interesse.  


Ci coinvolgerebbe di più se leggessimo in quel lamento, i nostri lamenti per le cose che non vanno; o la condizione di coloro che vivono la precarietà imposta del deserto, la nostra condizione talvolta miserabile; e così via.  


Ma, come spesso accade, a noi saltano all’occhio maggiormente i tratti negativi, perciò dell’intervento strategico di Mosè, noi non sapremmo vederne l’effetto buono nell’oggi; figuriamoci di quello divino. Talvolta, anche di questi, nei fatti che accadono, sappiamo vedere solo punizioni divine… Forse è perché siamo persuasi che non esistano più Profeti o che Dio non risponde più alle preghiere. 


Allora perché non provare ad ammettere che disagi e lamenti, pene e turbamenti derivano dai nostri atteggiamenti malevoli, che spesso serpeggiano in noi, e nei quali cadiamo, quando ci lasciamo prendere dallo sconforto, perché le cose non vanno o non sono andate secondo i nostri piani…? Questo sì che avvelena e talvolta diventa peccato! Non solo perché può essere cattivo, ma perché non sa convertirsi, non sa riconciliarsi e riconciliare. 


È a questo punto che diventa significativo Mosè che realizza un serpente di bronzo e lo pone sopra un’asta perché chiunque veniva morso, guardandolo, “rimanesse in vita”. E ciò è, inevitabilmente, un rimando al Crocifisso, come a Colui che si è fatto uomo e ha condiviso con l’uomo la sua condizione precaria per salvarlo, cioè liberarlo dal veleno del peccato (cfr Fil 2,6-11).


Dunque, riconoscere in quell’”Innalzato” Gesù Cristo (il suo essere crocifisso e glorificato), significa riconoscere l’intenzione di Dio Padre, che ha tanto amato il mondo… e così credere che non siamo perduti o destinati al nulla, ma salvati! Per ricevere in dono la Vita!


 

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Anonimo “Crocifissione”, affresco di chiesa rupestre della Cappadocia


Qui occorre un chiarimento. Noi non dobbiamo confondere “vita eterna” con “immortalità”. Giovanni –nel suo vangelo- non parla di immortalità, bensì di risurrezione (immortalità vuol dire non morire mai; risorgere è passare alla vita, che non ha fine, attraverso la morte). Ed è questo a fare la differenza; e su questa differenza noi costruiamo il nostro agire.


Il ritenere la morte come la fine di tutto ci porta a fare solo le cose che ci tengono in vita. Perciò quando si tratta di dare la vita, prima pensiamo a come possiamo mettere al sicuro la nostra, o se e quanto possiamo guadagnarci, e poi, forse…


A meno che l’altro non conti più della nostra stessa vita! 


È un pensiero lecito quello di salvare la propria “pelle”, ma quando utilizziamo questa immagine (questo criterio) per descrivere l’impegno nella vita di comunità, riusciamo a capire –fuor di metafora- che “morire a noi stessi” per mettersi a servizio dell’altro, ci costa, tanto, troppo; e così ci tiriamo indietro o arriviamo solo fino a un certo punto. 


Qui possiamo anche far riferimento al richiamo del nostro vescovo, che nella sua proposta dal titolo: “Tra voi, però, non sia così”, fa riferimento all’invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli affinchè diano credito alla sua Parola; in particolare a ciò che riguarda il “servire” e la logica che ci sta dietro. Quindi a non sentirsi “padroni” né dell’altro, né delle cose, né delle iniziative… perchè solo così si può camminare insieme, condividendo i percorsi e i sogni, e dando spazio e futuro anche alle cose nuove o a nuovi modi di vedere e fare le cose. 


Dopo tutto Gesù afferma, col suo esempio, che il cristiano non è potente o vincente se domina, bensì se serve! E per servire veramente occorre mettersi nella logica del Crocifisso; per il quale dominare dall’alto della croce non ha significato certo godere della vita, ma della pietà che il suo sguardo è riuscito a percepire delle varie povertà del mondo, per portarle su di Sè. A noi basterebbe condividerle.


dgc


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