Accostare il racconto di Numeri (21,4b-9), proposto in questa festa (Esaltazione della Santa Croce), in cui si dice della mormorazione verso la cura di Dio, ritenuta dal popolo troppo blanda (la manna aveva nauseato e il popolo rimpiangeva l’Egitto e la sua varietà di alimenti -interessante costatazione!), forse non sollecita abbastanza il nostro interesse. Ci coinvolgerebbe di più se leggessimo in quel lamento, i nostri lamenti per le cose che non vanno; o la condizione di coloro che vivono la precarietà imposta del deserto, la nostra condizione talvolta miserabile; e così via. Ma, come spesso accade, a noi saltano all’occhio maggiormente i tratti negativi, perciò dell’intervento strategico di Mosè, noi non sapremmo vederne l’effetto buono nell’oggi; figuriamoci di quello divino. Talvolta, anche di questi, nei fatti che accadono, sappiamo vedere solo punizioni divine… Forse è perché siamo persuasi che non esistano più Profeti o che Dio non risponde più alle preghiere. Allora perché non provare ad ammettere che disagi e lamenti, pene e turbamenti derivano dai nostri atteggiamenti malevoli, che spesso serpeggiano in noi, e nei quali cadiamo, quando ci lasciamo prendere dallo sconforto, perché le cose non vanno o non sono andate secondo i nostri piani…? Questo sì che avvelena e talvolta diventa peccato! Non solo perché può essere cattivo, ma perché non sa convertirsi, non sa riconciliarsi e riconciliare. È a questo punto che diventa significativo Mosè che realizza un serpente di bronzo e lo pone sopra un’asta perché chiunque veniva morso, guardandolo, “rimanesse in vita”. E ciò è, inevitabilmente, un rimando al Crocifisso, come a Colui che si è fatto uomo e ha condiviso con l’uomo la sua condizione precaria per salvarlo, cioè liberarlo dal veleno del peccato (cfr Fil 2,6-11). Dunque, riconoscere in quell’”Innalzato” Gesù Cristo (il suo essere crocifisso e glorificato), significa riconoscere l’intenzione di Dio Padre, che ha tanto amato il mondo… e così credere che non siamo perduti o destinati al nulla, ma salvati! Per ricevere in dono la Vita!

Anonimo “Crocifissione”, affresco di chiesa rupestre della Cappadocia Qui occorre un chiarimento. Noi non dobbiamo confondere “vita eterna” con “immortalità”. Giovanni –nel suo vangelo- non parla di immortalità, bensì di risurrezione (immortalità vuol dire non morire mai; risorgere è passare alla vita, che non ha fine, attraverso la morte). Ed è questo a fare la differenza; e su questa differenza noi costruiamo il nostro agire. Il ritenere la morte come la fine di tutto ci porta a fare solo le cose che ci tengono in vita. Perciò quando si tratta di dare la vita, prima pensiamo a come possiamo mettere al sicuro la nostra, o se e quanto possiamo guadagnarci, e poi, forse… A meno che l’altro non conti più della nostra stessa vita! È un pensiero lecito quello di salvare la propria “pelle”, ma quando utilizziamo questa immagine (questo criterio) per descrivere l’impegno nella vita di comunità, riusciamo a capire –fuor di metafora- che “morire a noi stessi” per mettersi a servizio dell’altro, ci costa, tanto, troppo; e così ci tiriamo indietro o arriviamo solo fino a un certo punto. Qui possiamo anche far riferimento al richiamo del nostro vescovo, che nella sua proposta dal titolo: “Tra voi, però, non sia così”, fa riferimento all’invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli affinchè diano credito alla sua Parola; in particolare a ciò che riguarda il “servire” e la logica che ci sta dietro. Quindi a non sentirsi “padroni” né dell’altro, né delle cose, né delle iniziative… perchè solo così si può camminare insieme, condividendo i percorsi e i sogni, e dando spazio e futuro anche alle cose nuove o a nuovi modi di vedere e fare le cose. Dopo tutto Gesù afferma, col suo esempio, che il cristiano non è potente o vincente se domina, bensì se serve! E per servire veramente occorre mettersi nella logica del Crocifisso; per il quale dominare dall’alto della croce non ha significato certo godere della vita, ma della pietà che il suo sguardo è riuscito a percepire delle varie povertà del mondo, per portarle su di Sè. A noi basterebbe condividerle.
dgc

