Chissà cosa spinge quel tale del vangelo a domandare a Gesù se “sono pochi quelli che vengono salvati”? (v. Lc 13,23-29) Perché gli interessa saperlo? Forse ha bisogno di rassicurazioni; ha paura che i suoi sforzi non siano ricompensati e il suo darsi da fare non riesca a meritarsi il premio…? Certo che è uno strano modo di fare quello di voler bene a qualcuno, per spingerlo a corrispondere! L’amore vero non ha come fondamentale caratteristica la gratuità? È vero, l’amore desidera essere ricambiato…ma quanti amori sono tali senza un riscontro che gratifica nell’immediato?! Gli amori “sofferti”, per esempio: quello dei genitori verso un figlio “problematico”; quello di due sposi, che tradiscono il loro patto… Comunque sia, alla domanda Gesù risponde, ma lo fa in maniera strana, dice: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta”. Noi siamo soliti porre l’accento sul verbo: “sforzatevi”. E ci pare che sia così che si deve fare: per entrare e far parte del Regno dei cieli occorre impegnarsi, darsi da fare: impegno, impegno e ancora impegno. Come a scuola: la promozione c’è se ci sono i risultati. Ma, credo invece che l’accento si dovrebbe porre su un altro particolare: sulla “porta stretta”, cioè sulla “via” che conduce al Regno. E noi sappiamo che la “Via” è Gesù, non la nostra capacità o bravura. Poi possiamo ben immaginare che la “porta stretta” sia anche scomoda da attraversare, cioè occorre abbassarsi, farsi piccoli, umili, per poter passare. E quando crediamo di aver fatto bene ogni cosa, di aver ottemperato a tutti i nostri doveri, ci dimentichiamo di cosa sia l’umiltà e diventiamo superbi (magari anche nei confronti di Dio!). E così non è più la fede, ma la nostra intraprendenza a darci merito (cfr Rom 4). Questa convinzione ci porta a risolvere in modo errato la questione creata dalla domanda: “Ma quanto si deve pregare? Quante volte dobbiamo andare in chiesa? Quanta generosità o elemosina dobbiamo fare…per essere “a posto”?”.

P. Gauguin “Gesù nell’orto degli olivi” (1889) West Palm Beach D’altronde, come si deve interpretare ciò che il vangelo dice più avanti? Ossia, quando coloro che si ritrovano fuori dalla porta si sentono dire: “non vi conosco”. Alla loro obiezione, che sostiene il fatto di aver mangiato e bevuto alla presenza del Signore e ascoltato il suo insegnamento nei luoghi di ritrovo, viene loro dichiarato: “non so di dove siete”, e per ben due volte! Anzi, viene detto loro di allontanarsi perché “operatori di iniquità”! Terribile! Perché queste affermazioni così pesanti? Credo che la faccenda sia seria e potremmo comprenderla così: chi dovesse ridurre la sua fede ad una pratica, che ha come obiettivo quello di preoccuparsi solo di sè, è fuori strada! La Via che è Gesù, e che Gesù propone, è quella del dono totale di sé, del prendersi a cuore la condizione dell’altro, anche di chi non se lo merita: la Chiesa esiste per questo. Non per costituire una élite, ma per richiamare che la vera salvezza è in Dio. Allora, fin quando ci occuperemo solo di noi stessi, non potremo procedere nella fede. Perché per quanto ci sforzeremo di raggiungere eventuali vantaggi resterebbero solo nostri. E questo non è nello stile di Gesù. Ecco perché preghiere, messe, elemosine, ecc… servono, eccome! Ma per creare quella relazione con il Signore, che ci permette di seguirlo come discepoli, che imparano dal maestro, e per dimostrare gratitudine a Colui, che si dona a noi e ci dona possibilità, opportunità, occasioni per fare il bene. Un po’ come Abramo, “l’amico di Dio” (cfr Gn 18), che si permette di insistere, anche in maniera sfacciata, per salvare chi non avrebbe nessun merito. Ma dandosi pena per quegli uomini, che vanno verso un destino di perdizione, si dimostra simile a Colui che vorrebbe che tutti fossero salvati. E questo è davvero uno spirito generoso: questa è carità, che anziché sapere quanti sono i meritevoli si preoccupa che tutti, per grazia, possano ottenere la Salvezza: proprio come Gesù. dgc

